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Il Battito della Notte ©2004 by M.E. ROSSLER da: OVERTURE 'Ouverture'. La parola adatta per presentare questa storia. Una storia dedicata principalmente alla musica, al ritmo e a tutto ciò che da esso scaturisce. Un ritmo incalzante, quasi febbricitante, una melodia sensuale e selvaggia. E con questa parola ritengo inoltre opportuno dedicare alcune righe a coloro che si apprestano ora a leggermi, a coloro che, per l'appunto, non mi conoscono! Infatti, ciò che segue è il mio primo racconto. Un racconto nato, se vogliamo, per gioco e per caso, in una tiepida notte tedesca, trascorsa nella città di Amburgo, in cui un incontro forse un po' magico e forse un po' fuori dal comune si è rivelato in un certo senso speciale. Un incontro che mi ha permesso di esplorare, anche grazie all'aiuto dell'immaginazione, uno stile di vita, o forse potremmo dire un vero e proprio mondo, un mondo sotterraneo, pulsante di stimoli, sensazioni e percezioni completamente antitetiche a quelle diurne. Questa storia vuole essere quindi una sorta di omaggio a tali vicende e soprattutto al protagonista di esse, che, dopo avermi affascinato con la sua particolarità e con la sua umanità, mi ha permesso di pormi una domanda importante: "Cosa può esserci al di là di una vita apparentemente squallida e senza senso? Cosa resta di certe persone una volta terminato lo show e spente le luci?". Scendere nell'intimo, dunque, scoprire cose non rivelate e cose non evidenti, avere la possibilità di parlare di due realtà contrastanti e al tempo stesso estremamente simili, due realtà forse emarginate: la vita di uno spogliarellista e quella di un ragazzo di strada, uniti da un legame che ondeggia tra la ricerca di purezza e il fango stagnante in cui per necessità sono immersi, tra un amore quasi ossessivo e un sesso violento, doloroso a volte. Due personaggi tormentati, in continuo movimento, in una continua ansia di conoscere e di sperimentare, alla ricerca di spicchi di sentimento e di verità propri, lontani dalla realtà quotidiana, molto spesso asettica, lontani dagli occhi della gente comune, che non sa e non vuole vedere. Per questo forse anche la scelta del periodo in cui ho deciso di ambientare la storia: i giorni, le settimane, i mesi a cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, anni controversi, senza dubbio, ma al tempo stesso ricchi di stimoli sotto ogni punto di vista e soprattutto pieni di quel respiro necessario, seppure incerto: la libertà. Una storia dedicata fondamentalmente alla libertà, dunque. Una storia concepita come musica, come ritmo più che come parole. Un battito continuo, un movimento irrequieto attraverso l'amore e soprattutto il sesso alla disperata ricerca di qualcosa che non sfugga e non si consumi troppo in fretta, con indifferenza… alla disperata ricerca di se stessi. [...] da: SWEET DREAMS La notte che lo incontrai per la prima volta era una notte di pioggia. Alle nove di sera ero ancora apaticamente seduto sulla poltroncina della mia camera da letto, tra le mani l'ultimo numero di Spider Man e attorno a me il silenzio. Non avevo uno stereo, non avevo mai voluto possederne uno, odiavo i rumori e mi dava fastidio la musica ad alto volume, quando la sentivo perdevo la testa, ed io detestavo perdere la testa. "Controllati!" "Controllati!" "Controllati!" Il Generale (così chiamavo con disprezzo mio padre) me lo ripeteva sempre, lo gridava, ossessivo come il martello pneumatico della discoteca, lui, con i suoi ordini senz'anima, capace soltanto di inaridire ogni più piccola lingua di libertà. E mia madre, pallida e segaligna signora che lo assecondava in silenzio, annuendo, aveva imparato il suo ruolo di genitore e di educatrice con i video illustrativi della 'Sperling', comprati per 2 sterline in qualche anonimo mercato dell'usato. Credo di non averla mia vista prendere una decisione in vita sua, aveva imparato ad essere il soldato, o meglio l'araldo di mio padre, aveva imparato il suo linguaggio e non seguiva altro che il percorso da lui prestabilito, una sorta di campo di addestramento domestico che andava dai fornelli della cucina alla poltrona del salotto, dove sfavillava l'orgoglio del mio genitore, un vecchio televisore in bianco e nero che era riuscito a strappare per pochi bigliettoni ad una sconosciuta asta di ricchi falliti. Ma il verbo del suo comando era comunque entrato nella mia testa, e la convinzione di essere un'ameba senza emozioni ogni giorno prendeva sempre più possesso di me. Non avevo amici, forse soltanto uno si poteva considerare tale, Harry, un ragazzo che per un po' di tempo aveva bazzicato in casa nostra, attirato dal profumo languido delle mutandine di mia sorella, una rispettabilissima zoccola che, rispettabilmente, si era fatta mettere incinta dal suo datore di lavoro, il dirigente di una piccola azienda di trasporti che si muoveva per tutta l'Inghilterra. Così lei, appena aveva potuto cogliere l'occasione, era emigrata nel cuore della City, dimenticandosi dopo poco tempo della sua famiglia di White Chapel. Io ed Harry eravamo rimasti amici, fortunatamente era un ragazzo intelligente, aveva capito quasi fin da subito come funzionavano le cose a casa nostra, e aveva deciso di non impelagarsi in una partita persa. Quando capitava dalle mie parti, mi fischiava alla finestra, convinto (a ragion veduta) che mi avrebbe trovato in casa, così uscivamo a fare un giro. Uscire di casa mi rinvigoriva, riattizzava in me il mio naturale istinto di ribellione, che mio padre di giorno in giorno s'impegnava a buttare giù, cercando disperatamente di tracciare un percorso obbligato anche per me. Ma io quel percorso non lo volevo, dentro di me desideravo spezzare tutti gli steccati e mandare a farsi fottere ogni limite, ogni imposizione, ogni regola. Harry lo sapeva, aveva saputo ascoltare i miei silenzi, immagino, anche perché io parlavo poco, così mi portava fuori a fare le cose più impensate. Impensate per me, perché per tutti gli altri erano assolutamente naturali. Prendevamo la sua macchina e come prima tappa, ogni volta, mi portava fuori dalla sonnolenta e grottesca vita di quartiere per raggiungere il cuore pulsante della città, Lei, Londra. E' stato proprio per colpa o forse grazie ad Harry che quella sera entrai per la prima volta nel luogo che presto diventò la mia ossessione e allo stesso tempo la mia linfa vitale. "Avanti, muoviti scemo! Se non sei ancora vestito, fallo e scendi, ti aspetto!" Mi affacciai alla finestra, piuttosto skazzato e annoiato. Scossi la testa. "Su ragazzino, si può sapere che cazzo stai a fare il sabato sera a casa?" mi guardò per un istante "Sbrigati, andiamo a Londra!" Londra… Sentii il cuore sussultare quando Harry la nominò, eppure ci vivevo anch'io in quella città, a soli venti minuti di tram dal centro, ma la Londra di cui parlava Harry era una Londra speciale, un mondo a parte in continuo cambiamento, era la City, era il cuore pulsante della vita, erano i colori, la musica, la paura di perdere il controllo, la voglia di farlo, era la moda, era il fuoco risucchiante degli anni 80 che stavano per uscire dall'utero materno. "D'accordo vengo!" gli gridai. Lo vidi ridere. Lo faceva sempre quando riusciva a convincermi di qualcosa. "Ora scendo!" Mi vestii rapidamente, non indugiando troppo davanti allo specchio, ero convinto di non essere un tipo attraente, e in ogni caso non sarei andato in giro per rimorchiare. "Io esco!" dissi, dirigendomi verso la porta di casa. Mia madre non si voltò neppure, mio padre mi guardò con aria di forte rimprovero… il soldato usciva liberamente dalla caserma. Si... la libertà. da: THE WALL "We don't need education… We don't need no thought control…" "Peter! Peter!" Colpi alla porta. "Peter! Alzati bastardo!" Colpi ripetuti e violenti. "Papà…" "We don't need education…" "Peter!" Mi diressi verso la porta ed aprii l'uscio. "Papà ho trovato lavoro!" Un pugno in faccia "We don't need no thought control…" "Sei una merda!" Era ubriaco. Si reggeva a malapena in piedi, ma la forza per picchiare non gli mancava. Si poteva sentire l'odore dell'alcool impregnato su tutti i suoi vestiti. "Sei una vergogna!" Si avventò su di me come una furia e mi tirò su per il colletto della maglietta. Ci guardammo per un lungo istante, poi, nonostante il rivolo di sangue che mi scorreva accanto al labbro, riuscii a sorridere… in un ghigno. "Teachers, leave the kids alone!" "Ho trovato lavoro papà…" Scalpitò, mugugnò ancora qualcosa, grugnì, poi mi colpì ancora. "Tu… tu… tutta la notte là fuori!" Risi e gettai all'indietro la testa. "Ho trovato lavoro, si… devi credermi…" continuai ridendo. "All in all it's just another brick in the wall." "Tu non sei un soldato! Tu non sei un soldato!" gridò, fuori di sé. "No papà, non sono un soldato!" "Another brick in the wall…" Si voltò colmo di rabbia verso di me. "Bambino senza palle…!" sibilò, prendendomi nuovamente per la collottola. Arricciai il naso. "Cos'è stavolta papà? Whisky da quattro cents oppure ti sei potuto permettere un bicchierino di Jack di lusso?" "Another brick in the wall!" "Tua madre ne morirà… sei la nostra vergogna!" la sua voce sembrò tornare ad essere più chiara. Pareva consapevole di ciò che stava dicendo. Non sopportavo più vedermelo addosso in quel modo, e dover subire la sua prepotenza e la sua rabbia di ubriaco… stava distruggendo tutto, stava contaminando la scia di sogno che mi ero riportato a casa. Mi dimenai, cercando di allontanare la sua presa, ma lui strinse più forte e mi tirò contro di sé. "Ho incontrato il tuo amico oggi, sai? Si, si proprio stamattina, dopo che ti ha riportato a casettina, sai? E' un po' senza palle il tuo amichetto e non ci ho messo tanto a farlo a parlare… sono un padre premuroso io…" Mi sentii gelare. No, non doveva accadere, non Giglio della Notte, non doveva contaminarlo, nelle sue mani sarebbe avvizzito. "E sai cosa mi ha detto?" Il suo sguardo brillò di una liquida luce giallastra, l'odio nei miei confronti e l'alcool nelle sue vene accrebbero il suo potere. "Mi ha detto che hai sbavato come una ragazzina davanti ad un uomo che ballava nudo!" "Leave the kids alone!" "Frocio!" "Leave the kids alone!" "Frocio!" "Leave the kids alone!" "Si papà l'ho fatto!" gridai improvvisamente, dopo aver subito i suoi colpi e le sue ingiurie. Mi alzai in piedi di scatto nonostante il mio corpo fosse dolorante e con rabbia mi gettai su di lui, spingendolo fuori dalla porta. Egli perse il controllo e andò a sbattere contro la parete di fronte. Feci la stessa cosa che lui aveva appena fatto a me. "E adesso ascoltami bene, vecchio… io non sono un soldato e questa casa non è una caserma, d'ora in poi è finita la tua dittatura di folle ed io non sottostarò più né a nessuna tua regola, né a nessuna tua pazzia, mi hai sentito bene? Hai sentito, Generale?" gridai, sbattendolo ancora contro il muro "Tu mi volevi morto, come hai fatto morire lei…" dissi ancora, lanciando un'occhiata a mia madre che aveva osservato la scena in silenzio, pallida più del solito, tremante, in disparte "Io non sono così, io non lo sarò mai! Io sono vivo!" Lo lasciai andare e mi diressi nuovamente verso la mia stanza, pronto a fare le valige. Mi girai ancora una volta verso di lui, prima di chiudermi la porta alle spalle. "Non so se sono frocio, ma senz'altro sono libero!" "All in all it's just another brick in the wall. All in all you're just another brick in the wall!" Me ne andai. Riempii il mio bagaglio di poche cose e di tanti sogni, nonostante la mia situazione non fosse affatto felice. Finalmente però lasciavo quella maledetta casa e quel maledetto quartiere. Finalmente avevo trovato la forza per farlo. In quel momento le sensazioni che mi accompagnavano erano unicamente libertà e desiderio, le sole in cui credevo veramente, le sole che mi avrebbero mandato avanti. Il mio addio a White Chapel non fu colorato e glorioso come me lo ero immaginato poche ore prima, ma non fu nemmeno una fuga vigliacca. Soltanto quando iniziò a fare buio e quando sentii la pioggia che non smetteva di pizzicarmi il volto, iniziai a rendermi conto che ero solo. Dove potevo andare? Quel bastardo di Harry mi aveva tradito, dunque… non avevo più un amico. Pensai per un istante di andare da mia sorella, ma figuriamoci se lei, imborghesita com'era, avesse ospitato il fratello povero e in piena crisi d'identità sessuale. Quella notte la trascorsi tra i barboni della stazione, non fui assalito, nessuno mi derubò, ma stranamente trovai una specie di calore umano, tipico della gente che non ha niente da perdere se offre metà del suo pane. Mi addormentai su una panchina, con la polizia che pattugliava a soli dieci metri di distanza da noi, e prima di chiudere gli occhi, contemplai la grigia cupola che ricopriva i treni assonnati e pensai a lui. Faceva freddo, le grida degli ubriachi a volte mi facevano sobbalzare, ma riuscii comunque ad addormentarmi con un sorriso. "All in all it's just another brick in the wall!" Riuscii a trovare un lavoro. Pochi giorni dopo, come benzinaio in un autogrill appena fuori da Londra, all'incrocio con l'autostrada. Il mio datore di lavoro mi aveva preso in simpatia, la prima volta che mi aveva visto si era bonariamente messo a ridere e mi aveva subito inquadrato come una 'brava testa di cazzo'. Non so se intendesse dire 'bravo ragazzo' o semplicemente 'testa di cazzo', ma detto da lui capii subito che si trattava di un complimento. "Poche storie, qui si lavora sodo. La gente ti butta giù dal letto dalle cinque del mattino, quindi tu alle cinque dovrai essere sul posto di lavoro! Se hai qualche grillo per la testa sei fuori!" Mi aveva squadrato un poco, poi aveva risolto che ero un tipo a posto. Credo che a quei tempi la mia omosessualità ancora non si notava molto, oppure non si era dichiarata del tutto, comunque lui non notò affatto qualcosa di strano in me. Il pregiudizio contro la diversità non era un concetto che gli apparteneva. Meglio così… io stesso non ero ancora pronto a fare 'outing'. "Allora accetti?" "Accetto!" Fui assunto. La paga non era male: cinquecento sterline al mese mi avrebbero consentito una vita più che dignitosa. Lasciai finalmente la stazione, salutai i miei amici della strada, con la promessa che appena avessi potuto sarei passato a trovarli, e magari ad aiutarli anche un po'. Riuscii a prendermi una stanza in un vecchio palazzo a Soho. Una volta pagato l'affitto e comprato qualcosa da mangiare non mi restava molto dei soldi, ma sapevo già che il mio scopo avrebbe significato sacrificio, e una parte della cifra sarebbe dovuta rimanere necessariamente… per lui. Così dopo qualche tempo, in cui avevo per il momento accantonato i miei sogni, una sera, terminato il lavoro, mi diressi in silenzio verso casa, soppesando ogni passo, ogni piccolo frammento di strada. Stavo di nuovo per vivere… Era finalmente giunto il momento di togliere dal bagaglio l'oggetto che avevo riservato per la fine, o forse sarebbe meglio dire per l'inizio della mia nuova vita, della mia vita libera… il desiderio. Mentre mi cambiavo per la serata, guardandomi sorridente allo specchio, sentii quell'intenso calore che avevo lasciato da parte, conservato gelosamente durante quel periodo di sacrifici, ricominciare a crescere lentamente in me. Vidi il mio volto tingersi a poco a poco di rosso, mentre una musica che non avevo mai dimenticato raggiunse le mie orecchie, ed un'immagine che mi aveva accompagnato negli istanti più freddi e più bui di quei giorni, ritornò come un sussurro a scaldarmi il cuore. Mi guardai un'ultima volta, risi… non avevo nulla da invidiare a Iggy Pop! "Harry… se mi vedessi ora! Sarei la dimostrazione vivente delle tue teorie…" strizzai l'occhio alla mia immagine riflessa sullo specchio "E' il nuovo che avanza!" da: THE CRYING GAME I giorni a seguire, le settimane che trascorsero rapide come le ultime mode del momento, gli ultimi glamour, accompagnati da brillantini e luci fiammeggianti, furono strani, indefinibili… indimenticabili. Io continuavo la mia doppia vita… di giorno un normale ragazzo che sbarcava il lunario lavorando da un benzinaio. Ogni mattina incontravo una miriade di persone, e mi piaceva giocare con le facce dei miei clienti, sostituendo ogni volto sconosciuto con quello del mio uomo… ormai lo chiamavo così. Di notte invece, mi trasformavo… una specie di Dr. Jeckill e Mr. Hide che passava vorticosamente dalla rispettabilità alla lussuria, che parlava allo stesso tempo con giovani madri di tranquille famigliole dei quartieri bene di Londra, e con le ragazzacce seminude che popolavano i locali notturni di cui ero diventato ormai un assiduo frequentatore… Erano loro le mie amiche… loro la mia famiglia. Mentre nel cuore c'era sempre lui. Erano trascorsi un paio di mesi da quando ero stato a letto con Giglio, da quella notte di pura follia in cui avevo speso praticamente buona parte dei miei risparmi, da quella notte di rabbia, di pianto e di passione… all'inizio avevo detto basta, il suo sorriso era deleterio per me, per i miei sensi, per la mia dignità, poi però il suo fascino diabolico e al contempo, la sua dolcezza disarmante, mi avevano ancora attirato a lui come una delle droghe più rare e deliziose. Così ero tornato a trovarlo, ad ammirarlo da lontano, a piangere e a venire sulle sue foto quando mi trovavo, in seguito, chiuso nella mia stanza, come un tempo, come se tra noi due non fosse mai accaduto niente. Infine un giorno avvenne qualcosa… come sempre era una cupa serata di pioggia, una di quelle che immortala la mia Londra nelle storie dell'orrore, una di quelle che ha reso famoso il mio depresso quartiere con le avventure di Jack lo Squartatore. Arrivai al Doll's House verso mezzanotte, ma stranamente l'atmosfera di quella sera era diversa dal solito, il silenzio era pregnante, il rumore della pioggia fastidioso come mai l'avevo udito prima. Raggiunsi il locale e lo trovai chiuso. Luci spente. Un cancellaccio rovinato ne sbarrava l'entrata. I volti luminosi ed intermittenti delle donne nude sulle insegne apparivano alquanto grotteschi. La magia era forse finita? Mi sentii assalire da puro terrore, un terrore che non mi spingeva a correre via, bensì a rimanere immobilizzato come un ebete dinanzi alla porta d'ingresso del mio paradiso, chiusa, come se un dio senza pietà avesse voluto tirarmi un brutto scherzo. Mi appoggiai al muro, scivolai lentamente a terra, svuotato, con la morte dentro. Sì, ero un caso disperato, l'ammetto. Ma come per ogni tossico che si rispetti, la rinuncia alla droga è la fine di tutto… sogni spezzati, il crollo delle illusioni, il ritorno della tanta odiata realtà. Chi cazzo ero io, in fondo? Uno stronzo che lavorava da un benzinaio per potersi a malapena permettere l'affitto di una lurida stanza in un quartiere malfamato come Soho. Ma finché c'era lui tutto questo non lo vedevo, finché i miei occhi erano ottenebrati dalla sua bellezza, il mio povero mondo appariva sfavillante e ricco di ogni cosa, la mia camera da letto una suite con ogni lusso, contornata dalla delizia delle attese e dallo splendore sfumato del sogno. Ed ora invece, cosa sarei diventato da lì a poco? Avevo dimenticato la mia storia passata, avevo dimenticato mio padre e le sue ingiurie, avevo rimosso dalla mia mente il volto triste di mia madre, i tradimenti di Harry, l'arroganza vuota di mia sorella. In quel luogo, considerato da molti di perdizione, avevo invece trovato la libertà di essere, la gioia e l'emozione, il brivido del sesso, l'anarchia degli istinti, il delirio delle nuove tendenze… era un luogo in cui anche un povero stronzo poteva avere la sua fetta d'illusione per poter campare meglio. Il locale era chiuso. Adesso. La fine di tutto. [...] da: JESUS TO A CHILD Era uscito sbattendo la porta. Avevamo litigato. Un'altra volta. Rimasi solo nel nostro appartamento francese, fissando l'uscio bianco senza pronunciare una parola. Mi sentivo vuoto, tremendamente vuoto. E solo, in quell'istante. La sue grida mi facevano male, e sebbene, fossimo diventati molto simili a due creature senz'anima, lui riusciva ancora a trovare il modo per ferirmi. Dovevo essere felice di questo? O dovevo considerarla una sconfitta? Ero divenuto un'icona del sesso, esattamente come Monsieur Durant aveva richiesto, mi ero spogliato dei miei sentimenti e avevo gettato dinanzi ai piedi di quell'uomo la mia anima, eppure… le parole della persona a me più cara riuscivano a trovare ancora uno spiraglio dentro di me per intrufolarsi nel mio cuore. Nel bene e nel male. Se Simón l'avesse saputo, sarebbe stata la fine per me, per il mio sogno, per i tutti i miei soldi… non sarei stato abbastanza perfetto. Lui… desiderava portarci a rassomigliare a delle statue di marmo… novelli David, ricostruiti dalla sua sapiente mano di artista. Monsieur Durant non viveva con noi in Francia, era rimasto a Londra, ma il suo controllo ci raggiungeva comunque. Gabriel fra i due era il più fragile, la sua delicatezza di angelo caduto non l'aveva abbandonato, il più sensibile agli ordini e alle richieste delle nostro caro Simón… era ossessionato dai suoi occhi di ghiaccio, da quell'azzurro piatto e senza scosse con cui ci guardava. Li sognava la notte, li rivedeva di giorno, alcune volte lo scoprivo piangere e tremare in un angolo del letto, e soltanto quando mi avvicinavo io e guardava nei miei di occhi, riusciva a calmarsi e lentamente, ad addormentarsi. Simón c'era, sempre e comunque. Eravamo i suoi protetti e allo stesso tempo, le sue vittime. [...]